Dinanzi i vostri occhi si innalzerà imponente fra le rovine il Teatro di Marcello. Il teatro è uno dei monumenti presenti nel quartiere relativi all’antica Roma, perfettamente in sintonia con i palazzi d’epoca che lo circondano. Fatto costruire da Cesare, ma terminato da Augusto e dedicato al genero Marcello, oggi è il limite estremo del Ghetto ebraico e sulla sommità è abitato, essendosi in età medievale insediata la potentissima famiglia degli Orsini.
Per entrare effettivamente nel quartiere, proseguite lungo la suggestiva viuzza nel verde che costeggia il teatro. Vi sembrerà infatti, di passeggiare fra le vestigia della grande Roma Imperiale.
A questo punto sbucherete inaspettatamente proprio nel cuore del Ghetto, area che doveva rivestire un ruolo importante anche in epoca antica. Siamo di fronte al Portico d’Ottavia. Anche questa fu opera di Augusto, in onore della sorella Ottavia. La porticus nell’antica Roma era considerata un edificio di centrale importanza, dal momento che era proprio al di sotto delle sue arcate che si svolgeva la vita frenetica e vivace della città, dove si distribuivano il grano e le derrate alimentari, si commerciava e si dava sfogo ad ogni genere di pettegolezzi. La vendita del pesce in questa parte del portico è attestata dalle fonti, ma anche da una lastra marmorea che veniva utilizzata per misurare, pesare e tagliare il pesce. Se osservate bene, quasi inglobata nel colonnato posteriore del Portico d’Ottavia, potrete scorgere la facciata della chiesa di Sant’Angelo in Peschiera. Ormai conoscete il motivo del nome, che mantiene nel tempo il ricordo dell’antica funzione del luogo. Se volete dedicarle un po’ del vostro tempo, fate un salto anche alla cappella che oggi custodisce una dipinto del Vasari.
Incamminatevi adesso verso il centro del quartiere. Disseminati lungo tutto il percorso troverete alcuni sampietrini dorati: fanno parte di un’opera ideata dell’artista tedesco Gunter Demnig, in memoria di tutte le vittime dell’olocausto durante la grande guerra. Essi sono posti davanti alle abitazioni delle persone che persero la vita nei campi di concentramento.
Imboccate via di Sant’Ambrogio. Fermatevi nella modesta piazzetta. Siete davanti al palazzo di Giacomo Mattei, un’altra delle più rispettabili famiglie della Roma rinascimentale. La sosta sarà allietata dallo scroscio dell’acqua corrente proveniente dalla Fontana delle Tartarughe. La leggenda che avvolge questa fontana è molto particolare. Si narra infatti che, circa 400 anni fa, nel palazzo sopra nominato, vivesse un duca della famiglia Mattei, giocatore d’azzardo accanito. Una notte giocando, perse tutto il suo patrimonio. La notizia giunse alle orecchie del futuro suocero del duca che si vide costretto a negargli la mano della figlia. Il duca, offeso, volle dimostrare al padre della promessa sposa che un Mattei, nonostante le perdite, sarebbe rimasto un nobile onorato ed un uomo di potere. Per dimostrare ciò, fece costruire in una notte, davanti la finestra di casa, una bellissima fontana, la stessa che oggi ammiriamo. Il giorno seguente invitò padre e figlia nel suo palazzo, aprì una delle finestre che davano sulla piazza e mostrò l’opera. Riottenne immediatamente la fiducia persa e la sua promessa sposa. In ricordo dell’accaduto però, il duca ordinò che la finestra venisse murata per oscurarne la vista. Se alzate lo sguardo sul Palazzo Mattei potrete ancora ammirare la finestra murata che da sulla preziosa Fontana delle Tartarughe.
Adesso incamminatevi nella via che costeggia il palazzo e voltate a sinistra. Entrate e perdetevi qualche minuto in un mondo che dall’esterno mai vi sareste immaginati. Siete all’interno di un altro Palazzo di proprietà dei Mattei, in questo caso di Giove. Per rispolverare il lustro della Roma Imperiale, a cui ogni famiglia nobile si ispirava, Giove fece costruire questo palazzo dal Maderno, e, proprio come i cortili interni delle antiche domus, egli lo fece decorare con marmi, statue, busti di antichi eroi famosi e imperatori. Vi sembrerà di rivivere il fasto rinascimentale in quest’oasi di tranquillità e quiete.
A questo punto potete riprendere i vostri passi e rituffarvi all’interno del Ghetto propriamente detto. Percorrete via della Reginella. Qui potrete cogliere effettivamente l’essenza e la funzione per cui nacque questo quartiere. Le sue vie strette ed anguste avevano l’intento di relegare un’etnia, la zona non doveva apparire come il quartiere vivace e vitale che siamo abituati a vedere oggigiorno. Testimonianza di ciò è il Tempietto del Carmelo, luogo di culto oggi sconsacrato, che aveva proprio la funzione di convertire la popolazione ebraica, la quale era costretta nelle prime ore della sera a prediche forzate di fronte questo luogo. Si narra che gli ebrei, si ribellassero silenziosamente tappandosi le orecchie con della cera per non ascoltare la messa Cristiana.
Se volete fare una piccola sosta ed immergervi nella cultura ebraica vi consigliamo la Pasticceria Boccioni. Famosa per i suoi dolci fedeli alla tradizione di questo antichissimo popolo. Gustandovi la dolce pausa davanti la pasticceria, alzate lo sguardo e scorgerete sulla cupola ottagonale della chiesa di Santa Maria del Pianto un grande orologio. All’interno della chiesa si custodisce il dipinto della Madonna che piange. È questa l’opera che da il nome alla chiesa. Una leggenda racconta che due giovani armati stavano litigando sotto gli occhi di una Madonna dipinta sulla porta di una casa vicina. Quello che stava per essere trafitto, chiese al suo nemico di essere risparmiato in nome della Madonna che lì era raffigurata. L’aggressore pentito lo lasciò andare e fece cadere il pugnale, ma colui che era stato prima sottomesso, approfittando che il benefattore fosse disarmato, lo pugnalò alle spalle, davanti agli occhi della Vergine Maria. L’immagine della Madonna davanti a tanta ingratitudine e slealtà cominciò a piangere. Dopo questo evento miracoloso il dipinto fu trasferito all’interno della Chiesa.
Proseguite lungo la via di Santa Maria de’ Calderari. Ad un certo punto vi sarà possibile scorgere un arco antico. Siamo nella zona dell’antico Circo Flaminio. Purtroppo sono quasi nulle le rovine di questo circo, che al contrario del ben più noto Circo Massimo non doveva essere monumentale e troppo edificato. Era però un edificio di grande importanza proprio perché qui i plebei organizzavano i comizi e le assemblee popolari. Poco distante da questo luogo ma sulla stessa via divertitevi a cercare una targa, che indica il livello del Tevere durante una delle piene storiche. Il Ghetto infatti, era uno dei quartieri più soggetti a queste inondazioni, e per questo era un ambiente malsano e paludoso. Non a caso furono proprio gli ebrei ad essere costretti a popolarlo.
A questo punto ripercorrete a ritroso la via e dirigetevi verso la Sinagoga. Questo edificio è oggi uno dei più importanti di tutto il quartiere, fulcro della vita religiosa ebraica. Consigliamo vivamente una visita a questo luogo, che oltretutto ingloba anche il museo della civiltà Ebraica.
Date le spalle alla Sinagoga e, lasciandovi guidare dal suono dell’acqua che scorre, raggiungete il fiume. Sostate sul ponte di fronte a voi. Siete su uno dei ponti più antichi di Roma che ha mantenuto la sua struttura originale, il Ponte Fabricio, che ne sostituì uno più antico in legno. E' anche conosciuto con il nome di Ponte dei Quattro Capi, grazie alle Erme Quadrifronte che ne adornano il parapetto.
Oltrepassate il ponte e lasciatevi alle spalle il famoso ristorantino di Sora Lella, noto per la tradizionale cucina ebraico-romanesca. Vi sarete sicuramente accorti che, insediati nelle stradine del ghetto, ci sono tanti ristorantini che vantano un menù ricco di ricette tradizionali ebraiche. Vi consigliamo di provarli per assaggiare i sapori di questa antica cucina. Sora Lella è uno dei più famosi insieme a Sora Margherita e Giggetto. A voi la scelta.
Giungete alla Chiesa di San Bartolomeo all’Isola. Una leggenda narra che nel 291 a.C. a Roma scoppiò una grave epidemia. Per scongiurarla fu mandata una nave ad Epidauro, città devota ad Esculapio, dio guaritore della Grecia. Mentre erano in corso i riti propiziatori, un serpente uscì dal tempio e si rifugiò sulla nave romana. La nave ripartì per Roma immediatamente credendo che il serpente fosse l’incarnazione del dio. Quando la nave attraccò il serpente nuotò verso l’isola Tiberina e scomparve. Prendendolo come un accadimento propiziatorio fu costruito il tempio, inaugurato nel 289 a.C., nel quale avvenivano guarigioni miracolose. La posizione del tempio coincide con la struttura dell’odierna Chiesa di San Bartolomeo all’Isola. Da quel momento in poi l’intera Isola Tiberina fu dedicata all’attività di assistenza medica dei malati e questa tradizione non si interruppe mai. Infatti, nel medioevo, l’isola divenne un ricovero per malati gestito da frati. Nel 1584 fu edificato l’ospedale “Fatebenefratelli” che oggi è uno dei principali ospedali di Roma. Lunga 300 metri e larga 90 metri l’Isola Tiberina è l’isola abitata più piccola al mondo. Ha sempre avuto la forma di una nave, da qui la leggenda che sorgesse nel posto di un’imbarcazione sommersa. Nel tempo fu anche addobbata come fosse una nave, oggi si possono notare i resti delle fiancate, della prua e della poppa; doveva collocarsi nel mezzo anche un obelisco rappresentante l’albero maestro.
A poppa dell’Isola Tiberina potrete ammirare ciò che resta del Ponte Rotto. Esso è parte dell’antico pons Aemilius costruito nel 241 a.C. Nel 12 a.C. l’Imperatore Augusto eseguì un completo rifacimento del ponte, ma a causa della sua posizione obliqua rispetto alla corrente del Tevere, subì numerosi crolli nei secoli seguenti. Michelangelo lo ristrutturò completamente nel 1552, ma già nel 1557 a seguito di una violenta alluvione vi furono nuovi crolli. Nel 1575, come attesta l’iscrizione ancora oggi visibile, Gregorio XIII dovette provvedere ad una nuova ristrutturazione. La vigilia di Natale del 1598 ci fu un’altra violentissima piena che fece crollare metà della struttura lasciando in piedi solo la parte ancorata alla riva destra del fiume. Fu chiaro che era inutile ricostruire il ponte, fu trasformato in un giardino pensile sul quale era possibile fare piacevoli passeggiate. Alla fine del settecento però la struttura precaria non permise più il passaggio. In seguito fu privato anche delle tre arcate che lo ancoravano alla riva diventando definitivamente il Ponte Rotto che oggi conosciamo, una struttura abbandonata nel fiume, ma che sa essere molto suggestiva, perché racconta instancabilmente tutte le peripezie che ha dovuto sostenere nel corso dei secoli.
Alla fine di questo itinerario avrete conosciuto un quartiere ricco di storia ed anche di sofferenza, ma che sicuramente ha avuto il suo riscatto diventando una delle zone più centrali, caratteristiche e famose di Roma. Le sue particolarità sono uniche nel loro genere e non si ritrovano in nessun altro quartiere della città. È un’area che racconta e vive una cultura antichissima, a cui Roma e i romani stessi devono moltissimo.